di Salvatore Viscuso

L’architettura tessile è costituita da materiali leggeri che, pur presentando enormi vantaggi (dalla praticità di montaggio e smontaggio delle strutture alla reversibilità ed adattabilità dei sistemi costruttivi), comportano una serie di problematiche riguardanti principalmente il comfort interno e l’efficienza energetica.
Riferendosi specificatamente alle facciate tessili, l’innovazione si ravvisa oggi in applicazioni volte a efficientare le prestazioni termo-energetiche degli involucri. La ricerca scientifica e tecnologica è sempre più orientata alla ricerca di membrane tessili maggiormente performanti che integrino, ad esempio, rivestimenti e finissaggi in grado di modificare le proprie proprietà ottiche in relazione alla radiazione solare; includano sistemi di sensoristica avanzata in grado di rilevare le variazioni ambientali; incapsulino nanoparticelle a cambiamento di fase per termoregolare i flussi energetici attraverso la pelle tessile. Sfruttando stimoli ambientali come il calore solare, la temperatura dell’aria o l’umidità atmosferica, questi involucri sono in grado di modificare autonomamente le caratteristiche fisiche o chimiche.
Questa nuova generazione di facciate tessili è costituita spesso da sistemi multifunzionali altamente adattivi, in cui il separatore fisico, o parte di esso, tra l’ambiente interno ed esterno è in grado di cambiare configurazione, funzione o comportamento in risposta a requisiti prestazionali transitori e condizioni al contorno. Allo stato attuale, si evidenziano due approcci principali nella progettazione di facciate tessili adattive, cioè variamente configurabili nel tempo. Da un lato, si assiste allo sviluppo di dispositivi meccanici di ombreggiamento solare, in cui degli elementi aggiuntivi vengono posizionati all’esterno o all’interno della facciata o integrati in doppie pelli, aiutando così a regolare l’assorbimento della radiazione solare attraverso movimenti meccanici e sistemi automatici di controllo e regolazione (approccio meccanico); dall’altro, ci si basa sul movimento conseguibile con la deformazione elastica dei materiali impiegati (approccio cinetico), ottenendo così un risparmio notevole nell’impiego di componenti meccanici e nella quantità di energia necessaria all’attivazione del sistema adattivo.
Approccio meccanico
Nei sistemi di schermatura solare l’efficienza è correlata all’angolo di altitudine solare, variando nel corso della giornata e dell’anno. Pertanto, i sistemi adattativi risultano sicuramente più performanti di quelli fissi, in quanto possono essere regolati per rispondere al cambiamento della radiazione solare, consentendo il controllo individuale, l’ombreggiamento ottimale e la massimizzazione nell’uso della luce diurna.
I sistemi regolabili per la schermatura solare possano avere un ruolo significativo nelle prestazioni climatiche di un edificio, sebbene il limite attuale è rappresentato dal fatto che – negli edifici contemporanei – le facciate pongono ormai sfide geometriche e meccaniche molto difficili. La meccanica dei sistemi di schermatura regolabile maggiormente diffusi, come persiane, avvolgibili e brise-soleil, si basa generalmente su una griglia modulare; il sistema è limitato agli assi ortogonali e agli angoli retti. Questi prodotti funzionano bene se applicati su facciate piane; non offrono alcuna soluzione standard, invece, per applicazioni su superfici curve, sempre più utilizzate nell’architettura contemporanea.
La progettazione parametrica permette oggi la definizione di soluzioni di schermatura solare tessile che si adattano geometricamente e funzionalmente alla crescente complessità dell’architettura contemporanea. Ad oggi, è possibile rintracciare validi esempi di sperimentazioni tecnologiche in cui involucri edilizi geometricamente complessi prevedono dei sistemi di ombreggiamento con un elevato livello di flessibilità tecnologica e adattabilità.
Le serre bioclimatiche del parco Gardens-by-the-Bay a Singapore rappresentano un riuscito esempio di sistema di ombreggiamento adattivo, applicato su due grandi coperture a guscio. In questo progetto è stato approntato un sistema dinamico, in cui le tende sono posizionate esternamente per consentire la trasmissione della luce proteggendo la facciata dal surriscaldamento. I sensori installati negli spazi interni controllano temperatura, luce e umidità; quando i livelli registrati aumentano, i motori srotolano due teli triangolari per elemento (Fig. 1).

Fig. 1: “Gardens-by-the-bay”, Singapore, Wilkinson Eyre Architects, 2012 (Foto © Serge Ferrari)

Un ulteriore esempio di sistema meccanico-adattivo è rappresentato dalle Torre Al-Bahr di Abu Dhabi. Gli edifici, costituiti da 29 piani ciascuno per un’altezza complessiva di 145 m, presentano un sistema esterno di schermatura pieghevole ispirata al tradizionale mashrabiya, reinterpretato per mezzo di strutture a ombrello a tre lati in tessuto traslucido di PTFE. Gli attuatori lineari, regolati da una sequenza preprogrammata che invia diversi input durante il giorno, attivano gli elementi permettendo cinque diverse configurazioni operative, da completamente aperto a totalmente chiuso. Secondo le stime di progettazione, il sistema dovrebbe ridurre i carichi di raffrescamento fino al 25% (Fig. 2).

Fig. 2: “Al Bahr Towers”, Abu Dhabi, AHR Architecture, Aedas Architecture, 2013 (Foto © AHR – Aedas)

Approccio cinetico-elastico
Le nuove sperimentazioni tendono oggi a sviluppare sistemi basati sulla deformazione elastica dei materiali per attivare il movimento, senza l’uso di cerniere o altri dispositivi meccanici.
Flectofin® è un esempio di sistema di schermatura cinetica elastica di ispirazione bio. La deformazione elastica che si verifica quando un impollinatore atterra sul trespolo del fiore Strelitzia reginae ha ispirato architetti e ricercatori delle Università di Friburgo e Stoccarda per la progettazione di schermature tessili in grado di reagire alle variazioni ambientali senza l’impiego di cerniere che possono reagire al loro ambiente. Il sistema di ombreggiamento è composto da coppie di lamelle tessili verticali, irrigidite ai lati da profili piatti in materiali fibrorinforzati a matrice polimerica (FRP e GFRP) che possono combinare un’elevata resistenza alla trazione con una bassa rigidità alla flessione, offrendo così una vasta gamma di deformazioni elastiche calibrate. Si può così garantire una buona stabilità strutturale per tutte le configurazioni intermedie di apertura delle lamelle (Fig. 3).

Fig. 3: “Flectofin®”, University of Stuttgart, University of Freiburg, 2011 (Foto © J. Lienhard)

Un principio simile è applicato alla scala dell’intera facciata nel padiglione tematico per l’Expo 2012 svoltasi a Yeosu, in Corea del Sud. L’edificio è composto da singole lamelle di polimeri rinforzati con fibra di vetro (GFRP) che si orientano diversamente in funzione dell’esposizione solare e delle condizioni di luce. Gli attuatori, semplici morsetti azionati da un servomotore elettrico e posti alle estremità delle lamelle, applicano forze di compressione per creare la deformazione elastica che provoca l’apertura dell’involucro. La potenza di attivazione viene convertita quindi in energia elastica immagazzinata nelle lamelle deformate, e parzialmente riconvertita in energia elettrica durante la procedura di chiusura utilizzando i servomotori come generatori elettrici. Grazie a questo il sistema può risparmiare energia (Fig. 4).

Fig. 4: “Expo Thematic Pavilion”, Yeosu, SOMA Architecture, 2012 (Foto © SOMA)

Una combinazione di cinetica elastica e morbide sfumature tessili è presentata dall’involucro esterno della Softhouse, edificio residenziale sperimentale realizzato ad Amburgo per la mostra internazionale “Bauausstellung” IBA 2013. Il sistema presenta due livelli di adattabilità: in un ciclo annuale, i pannelli curvi di vetroresina posti sulla parte superiore del tetto modificano la loro flessione, ottimizzando così l’angolo d’incidenza solare delle celle fotovoltaiche poste all’estradosso; giornalmente, le strisce tessili verticali che compongono la facciata ruotano su sé stesse, in modo da seguire la traiettoria solare. Le fasce costituiscono un sistema ibrido form-active in cui le membrane pretensionate di PTFE di 4×0,6 m sono irrigidite ai bordi da profili piatti in GRFP che possono deformarsi elasticamente, attivando così il movimento di torsione. Le strisce, disposte parallelamente in gruppi di 8 per unità abitativa, sono ancorate alle estremità a elementi a sbalzo in GFRP che agiscono come molle di compensazione alla variazione non lineare della lunghezza delle strisce durante la torsione (Fig. 5).

Fig. 5 “Softhouse IBA”, Amburgo, Kennedy & Violich Architecture, 2013 (Foto © J. Lienhard)

Sensori e attuatori
Per essere dinamico e reattivo alle sollecitazioni ambientali, qualsiasi sistema adattabile deve essere attivato, ovvero serve un input di movimento da trasferire al sistema in modo che possa soddisfare le prestazioni richieste. I sensori sono il legame tra lo spazio ambientale e il sistema adattivo; registrano i cambiamenti esterni, li confrontano con lo stato desiderato (set-point) e trasferiscono le informazioni al processore, monitorando tutti gli effetti sulla struttura e le sue reazioni. Gli attuatori, invece, sono gli elementi che convertono l’energia in movimento e producono una reazione nel sistema, modificandone la geometria o le caratteristiche principali in relazione agli stimoli percepiti dai sensori ed elaborati dal processore. Il processore, infine, è un’unità di controllo in cui i dati in arrivo vengono elaborati al fine di regolare il movimento da trasferire al sistema adattivo. I sistemi di controllo basati su attuatori, sensori e processori sono identificati in letteratura come “sistemi attivi”.
Un’ulteriore filone di ricerca segue invece lo sviluppo di “sistemi passivi”, in grado di autoregolarsi agli stimoli ambientali (temperatura, umidità relativa, radiazione solare ecc.) modificando una o più proprietà (chimiche, meccaniche, elettriche, magnetiche o termiche). Le modifiche sono dirette e reversibili, e possono non richiedono una fonte di energia esterna per l’attivazione del sistema. Questa è la caratteristica più significativa degli smart materials, che rende la loro applicazione interessante anche nel campo dei componenti per l’edilizia sostenibile.
Gli smart materials sono classificabili in:

  • materiali piezoelettrici, composti da cristalli che, se sollecitati meccanicamente, creano una differenza di potenziale tra una faccia e l’altra e quindi energia;
  • materiali a memoria di forma o a cambiamento di fase, sia le leghe o metalli che polimeri, in grado di deformarsi in modo temporaneo e poi tornare alla forma originale grazie ad un determinato stimolo esterno, come la variazione di temperatura;
  • materiali o polimeri elettroattivi, in grado di produrre forti spostamenti, e quindi forti forze meccaniche, se stimolati elettricamente.

Se da un lato i materiali intelligenti sono soluzioni idonee dal punto di vista ambientale in quanto autoalimentati e autoattivabili, dall’altro hanno un grosso limite legato all’incapacità del controllo individuale, spesso impraticabile o limitato. Questo è il motivo per cui, in architettura, i materiali intelligenti sono stati finora sviluppati solo su scala prototipica o con applicazioni limitate. Tra le innumerevoli applicazioni, l’utilizzo dei materiali intelligenti su supporti tessili ha sicuramente giovato del crescente interesse per gli smart fabrics nei settori dell’abbigliamento e dell’automotive, aprendo così la possibilità di immaginare tessuti capaci di prestazioni innovative per il benessere ambientale, quali illuminazione, riscaldamento, raffreddamento, raccolta di energia, comunicazione, rilevamento, misura e monitoraggio.
Un primo esempio di tessuti intelligenti per l’architettura prevede l’impiego dei PCM, il cui acronimo significa Phase Change Materials. Sfruttando la capacità dei PCM di immagazzinare e successivamente rilasciare calore latente all’interno dell’ambiente passando dallo stato solido a quello liquido e viceversa, sono stati prototipati tessuti sperimentali con l’integrazione di questi materiali. Ad esempio, se installate dietro grandi vetrate, delle tende realizzate con questa tipologia di tessuti possono assorbire il calore dell’energia solare e liberarlo durante le ore notturne (Fig. 6). Ciò contribuirebbe a garantire il comfort termico interno, riducendo l’effetto di surriscaldamento nella stagione più calda e smorzando i picchi di temperature sia in estate che in inverno. Attualmente i PCM più sperimentati in architettura, perché rispondono a queste caratteristiche, sono i compositi organici paraffinici e idrocarburi ottenibili come sottoprodotti della raffinazione del petrolio o per polimerizzazione, e alcuni inorganici come sali idrati. I sistemi di contenimento utilizzati sono il macro e micro incapsulamento e l’immersione in matrici porose.

Fig. 6: “Outlast® Technology”, Integrazione di nanomateriali a cambiamento di fase in tessuti acrilici, 2015 (Foto © Outlast)

Un ulteriore esempio riguarda lo sviluppo di tessuti in grado di modificare il proprio colore. Si tratta di convenzionali tessuti ai cui coloranti tradizionali sono aggiunte speciali sostanze – leucodye o cristalli liquidi – capaci di modificare le proprietà ottiche in seguito all’applicazione di uno stimolo (elettrico, ottico, termico, meccanico, chimico, ecc.), con un effetto reversibile. Queste sostanze, scientificamente definite “materiali cromogenici” e aggettivati come “camaleontici”, visto che modificano il loro colore in relazione al variare delle condizioni ambientali, offrono grandi opportunità di impiego nell’architettura e nel design di interni.

Salvatore Viscuso
Architetto, Dottore di ricerca in “Tecnologia e Progetto per l’ambiente costruito”, partecipa alle attività didattiche e di ricerca del Dipartimento di “Architettura, Ingegneria delle costruzioni e Ambiente costruito” del Politecnico di Milano, approfondendo i temi della costruzione assemblata a secco e della progettazione di componenti edilizi iperleggeri. In qualità di consulente tecnico certificato BIM, collabora da anni con importanti studi di architettura e società di costruzioni per la progettazione di edifici complessi alle diverse scale del progetto.

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