di Katia Gasparini
Le recenti innovazioni tecnologiche stanno aprendo lo sviluppo di una nuova generazione di schermature solari reattive al clima nelle diverse latitudini, sviluppando potenzialità di contenimento dei consumi energetici e migliorando al contempo il comfort interno. Per ottenere questo tipo di adattabilità, è possibile utilizzare strutture pieghevoli azionate attraverso sistemi meccanici e dinamici, o strutture che si riconfigurano grazie al materiale innovativo adottato oppure grazie alla geometria del tessuto impiegato. Il processo di apertura/chiusura, variabilità di questo tipo di strutture appare particolarmente interessante, in particolare, per il controllo attivo della radiazione solare e della luce diurna, sia quella interna agli edifici, sia di un qualsiasi spazio aperto schermato da un sistema orizzontale dinamico.

Fino a poco tempo fa, i progettisti e le aziende hanno sperimentato strutture pieghevoli rigide in qualità di dispositivi di protezione solare adattivi al clima. Oggi si è sviluppato e si sta diffondendo l’uso della piegatura a linee curve anche in questo contesto finora poco esplorato.

Alcune recenti sperimentazioni e realizzazioni in ambito internazionale consentono una prima interessante panoramica dei principali parametri che determinano la geometria e il comportamento cinematico dei componenti di ombreggiamento adattivo basato sul piegamento a linee curve e il loro effetto sulle prestazioni del sistema schermante. Infatti, è possibile connettere la progettazione parametrica di un sistema schermante adattivo con l’illuminazione diurna e con i software di modellizzazione del flusso energetico/luminoso al fine di valutare e migliorare le prestazioni del sistema schermante in modo interattivo.

Si palesa quindi una connessione progettuale fondamentale fra tessuto/materiale, design, tecnologia meccanica e software di modellazione perché la prestazione finale ottimale della schermatura dipende da una serie di fattori fra loro connessi di tipo energetico, chimico, biologico e matematico.

Figura 1

La forma della materia
Negli ultimi quindici anni, complice l’innovazione delle soluzioni di facciata, la costruzione di facciate continue vetrate e trasparenti e le normative per il contenimento del consumo energetico, è aumentata la sensibilità e l’interesse per le schermature solari,  quindi lo studio e ricerca di nuovi tessuti performanti, ad alte prestazioni. Infatti, i tessuti nell’architettura come nell’interior e nel fashion, nel pensiero comune sono sempre stati visti come materiali privi di forma propria.

La ricerca chimica applicata alla realizzazione di nuovi filati (derivanti dai materiali smart, nanotech, ecc.) ha consentito la progettazione e produzione di soluzioni apparentemente infinite di tessuti con diversi comportamenti e funzionalità, in relazione ai diversi ambienti e superfici di applicazione e interazione.

Il tessuto è un materiale facilmente trasportabile e leggero, può essere realizzato con  una gamma di filati diversi, attualmente anche con materiali da riciclo e con i cosiddetti “neomateriali” inseriti nell’attuale filone dell’economia circolare, che conferiscono un grande potenziale per essere una scelta sostenibile per l’architettura.

Tali potenzialità sono state amplificate dall’introduzione nell’iter progettuale dei software di modellazione tridimensionale, supportati dalle potenzialità della progettazione parametrica di software quali Grasshopper (associato a Rhinoceros), Dynamo (associato a Revit), Para3D (associato a 3Dstudio Max), Xpresso (associato a Cinema 4D), CATIA  e similari.

Figura 2

Nell’ambito delle schermature solari e nei tessili per installazioni e strutture pneumatiche, ovvero nell’architettura che usa la trazione al posto della compressione che potremmo definire “a trazione”, i tessuti sono progettati per seguire una forma prestabilita, sia nell’ipotesi di tessuti naturali sia di quelli che sono il risultato della ricerca dei polimeri e dei materiali nanostrutturati e stratificati.  Nell’architettura “a trazione” i tessuti sono progettati per seguire una forma prestabilita, con tessuti tesi fino a che la forma risultante sia praticamente rigida; questo per evitare la deformazione dovuta al carico del vento. Ma cosa succede se permettiamo il movimento nel tessuto? Cosa succede se il vento diventa una variabile di design per decidere l’espressione della forma architettonica tessile?

La struttura interna dei tessuti può altresì  influenzare il loro comportamento e l’espressione geometrica quando sono in movimento. Attualmente gli strumenti utili per la progettazione di architetture tessili, dinamiche o reattive,  spaziano dalle simulazioni digitali di espressività e variabili formali, attraverso la valutazione della proprietà strutturale, fino ai modelli fisici veri e propri.

Il design parametrico è un nuovo approccio alla progettazione architettonica che utilizza i parametri per impostare le relazioni tra gli elementi del progetto al fine di definire una gamma di alternative formali. In questo senso, la progettazione parametrica offre grandi opportunità agli architetti di gestire il processo di progettazione in modo più efficiente. Essa quindi, con i software attualmente in uso, consente di indagare la geometria e il comportamento del tessuto, dalla lavorazione a maglia e tessitura dei singoli filati alle strutture di tessuto su larga scala.

Il design parametrico consente di porre enfasi sulla evoluzione progressiva di forma e texture della schermatura tessile. Inoltre, l’utilizzo contestuale di strumenti di progettazione computazionale e software di simulazione acustica e modellazione integrati direttamente nel processo di progettazione consente di ottenere ottimi risultati anche dal punto di vista della schermatura acustica, non solo solare.

Figura 3

L’Hyperbolic Solar Shade è un dispositivo di ombreggiamento unico progettato in funzione delle coordinate specifiche e all’orientamento del sito per il quale è stato progettato a Phoenix, in Arizona. Il dispositivo proposto ha analizzato le geometrie solari standard attraverso l’orientamento dei punti cardinali. I dati acquisiti sono stati sviluppati in Grasshopper per rispondere alla rotazione di un piano aggiuntivo di 18 gradi, che ha drasticamente modificato la superficie iniziale. Le superfici iperboliche che ne sono risultate sono state sviluppate in Grasshopper come risoluzione geometrica.

Ognuna delle due superfici progettate  è sviluppata attorno a un singolo modulo, che è in grado di impilare. Mentre la superficie iperbolica intagliata è specificamente sviluppata per rispondere alla vera geometria ricavata dalla proiezione solare attraverso la rotazione di 18 gradi. Un’ulteriore forma triangolare iperbolica agisce strutturalmente sollevando l’angolo del dispositivo di ombreggiatura e legandolo alla struttura di base. La struttura finale è composta di quattro moduli interpiano su ciascuna facciata per offrire al progetto la necessaria schermatura solare.

Figura 4

Interattività e ricerca

La multisciplinarietà nel progetto e nella ricerca è d’uopo nell’architettura contemporanea, perché consente di ottimizzare le prestazioni dei sistemi più avanzati  in qualsiasi ambiente. Per tale motivo le competenze oggi coinvolte nel progetto di sistemi schermanti spaziano dall’ingegneria elettronica a quella spaziale, dall’ingegneria dei materiali all’arte e design per l’interazione fra forma e funzione, allo studio della biologia perché ormai i sistemi ambientali sono assimilabili al corpo umano, come una estensione della natura e dei suoi molteplici parametri biologici. Citando l’architetto giapponese Toyo Ito, si potrebbe sostenere che “dal momento che l’architettura è sempre servita come mezzo di adattamento all’ambiente naturale, l’architettura contemporanea deve funzionare come mezzo di adattamento all’ambiente informatico; l’architettura oggi deve farsi vestito mediale” (noema.org).

Figura 5

In tale contesto, appare interessante il progetto di Lumen, un’installazione immersiva e interattiva di Jenny Sabin Studio, realizzata nel cortile del MoMA PS1 durante l’estate 2017.

Lumen è realizzato con un tessuto che di notte si illumina avvolgendo i visitatori in un bagliore reattivo di foto-luminescenza. Di giorno Lumen scherma dalla calura estiva, avvolgendo le persone in deliziose nuvole rinfrescanti. L’installazione è adattiva e reagisce agli stimoli ambientali e sociali, infatti cambia colore e intensità in funzione alla densità delle persone presenti, del calore della luce solare.

Il tessuto è costituito da una maglia leggera reattiva e da una struttura di componenti cellulari realizzati con tessuti riciclati, fili fotoluminescenti e reattivi alla luce solare che assorbono e raccolgono per generare illuminazione. Con questo tessuto è stata così realizzata una copertura leggera che delimita spazi pubblici e privati deputati alla sosta e alle relazioni,  in cui è possibile regolare il microclima tramite un sistema di nebulizzazione che si attiva in funzione della presenza dei visitatori.

Lo spazio è arredato con  gruppi di sedute ottenute dal riciclo  di bobine di tessuto dismesse, che si trasformano e comunicano con l’intorno tramite i materiali idrocromici con cui sono realizzate.

Il progetto è il risultato di una collaborazione multidisciplinare che applica le teorie e le scoperte della biologia, della scienza dei materiali, della matematica e dell’ingegneria. Jenny Sabin ha sperimentato con questa installazione un nuovo approccio esplorativo ai nuovi materiali attraverso lo studio della loro reazione alla luce del sole e alla partecipazione fisica. I risultati dello studio sono funzionali alla realizzazione di un’architettura adattativa e trasformista.

Il modulo è generato da un algoritmo matematico legato allo studio dell’illuminazione naturale (orientamento) del sito, dei materiali e dalla morfologia strutturale dei componenti cellulari lavorati a maglia. Approfondendo gli studi sulla flessibilità e sensibilità del corpo umano, Lumen integra materiali e architetture adattivi in ​​cui il codice, il pattern, l’interazione umana, l’ambiente, la geometria e la materia operano insieme. Il tessuto è il risultato di una rigorosa sperimentazione multidisciplinare che produce un ambiente multisensoriale vivace e interattivo, che gioca sulla variabilità cromatica dei materiali nelle diverse ore del giorno.  

Figura 6

Anche l’installazione dell’artista Janet Echelman di Studio Echelman sulla Boston Rose Kennedy Greenway comporta un approccio multidisciplinare, fra arte, ingegneria e architettura. Questa è la conferma di quanto precedentemente sostenuto in merito allo  stretto rapporto fra progettazione strutturale e parametrica con l’arte, nel momento in cui si approcciano i tessuti, a funzione tanto schermante quanto artistica, in ambito urbano.

I fattori implicati nella progettazione, in queste situazioni di spazi aperti, sono connesse tanto ai requisiti e prestazioni dei materiali implicati, quanto nello studio delle forme, strettamente connesse non solo alla parte creativa e artistica, ma soprattutto alle sollecitazioni meccaniche dinamiche derivanti dalle forme, texture, sollecitazioni ambientali.

Infatti, partner del progetto della Echelman è il gruppo Arup, che ha seguito l’ingegnerizzazione e realizzazione di questa scultura in fibra di vetro circa 2000 mq chiamata “As If It Were Here”.

La scultura è stata installata a circa 110 metri sopra la Rose Kennedy Greenway di Boston e si estende fino a 180 metri fra tre grattacieli. Commissionato dalla Rose Kennedy Greenway Conservancy, la scultura di Echelman per Boston ha un design originale ispirato alla trasformazione del lungomare della città in seguito al Big Dig, il progetto del “Grande Scavo” del tunnel sotterraneo della grande autostrada cittadina. L’installazione temporanea è rimasta sulla Rose Kennedy Greenway di Boston da maggio a ottobre 2015, scelta all’interno del programma d’arte pubblica di Greenway Conservancy.

La forma dell’installazione fa eco alla storia dello spazio urbano su cui si erge. I tre vuoti ricordano la “Tri-Mountain” che fu rasa al suolo nel XVIII secolo. Le bande colorate sono un cenno alle sei corsie che un tempo hanno travolto il quartiere, prima che il Big Dig permettesse di recuperare lo spazio per la vita pedonale urbana.
La scultura è composta da corde tessute a mano che formano una rete interconnessa da oltre mezzo milione di nodi. Quando uno qualsiasi dei suoi elementi si muove, ogni altro elemento ne viene influenzato. Appare un drappo monumentale in scala e forza, ma delicato come il pizzo, che reagisce fluidamente al vento e al tempo sempre mutevoli. Le sue fibre sono 15 volte più resistenti dell’acciaio ma incredibilmente leggere, rendendo la scultura in grado di adattarsi direttamente a tre grattacieli come un morbido drappeggio su un’architettura dai contorni netti.

L’opera d’arte incorpora elementi di luce dinamica interagiscono al variare del vento grazie ad un sistema embededd che secondo il movimento e la tensione delle fibre produce la variabilità cromatica della luce proiettata sulla superficie della scultura.

Il tessuto è realizzato con polietilene ad altissimo peso molecolare e fibre di poliestere intrecciato ad alta tenacità con illuminazione a LED colorata.

Si è trattato di un lavoro di una squadra multisciplinare in cui Arup ha lavorato a stretto contatto con Studio Echelman, Autodesk e Shawmut Design and Construction per  concretizzare la visione dell’artista di ricollegare la città sulla Greenway. Il ruolo principale di Arup è stato di progettare il disegno geometrico e strutturale per la rete di cavi precompressi che supporta e forma parte integrante della scultura. Gli ingegneri di Arup hanno sviluppato un software dedicato che implementa un algoritmo “adaptive form-finding” per ottimizzare la geometria e la struttura della scultura. La ricerca del modulo faceva parte di un flusso di lavoro digitale complessivo, dal concept alla fabbricazione.

L’architettura, in quanto simbolo concreto del proprio tempo,  si trova sempre di fronte alla responsabilità di rispondere ai bisogni emergenti, contestualmente a tecnologie e programmi in continua evoluzione. In epoca contemporanea il prepotente sviluppo del digitale all’interno dell’ambito progettuale ci consente di progettare organismi abitabili capaci di sviluppare funzioni e di integrare i processi del mondo naturale che in precedenza si svolgevano a distanza in altri punti del territorio circostante. Ogni nuova produzione urbana o architettonica ha bisogno di evolvere nella sua materialità e reinterpretare le tecniche di costruzione dei secoli passati, fondate sulla trasformazione di materiali disponibili localmente. E’ il momento di sviluppare una maggiore  interazione tra discipline e tecnologie, all’interno di una visione che abbraccia diversi campi di ricerca.

In questo contesto, appare necessario generare una conoscenza complessa legata a una lettura a più livelli di realtà che sono state tradizionalmente considerate come separate, come l’interazione fra energia, natura, mobilità urbana, abitazioni, sistemi di produzione, sviluppo di software, reti di informazione ecc. Ciò apre la possibilità di generare nuovi prototipi, capaci di interagire con ambienti complessi e mutevoli, come quelli anzi descritti.

Figura 7

Immagini
Fig. 1-2-3-4: Lumen by Jenny Sabin Studio for The Museum of Modern Art and MoMA PS1’s Young Architects Program 2017, on view at MoMA PS1 from June 29 to September 4, 2017. Images courtesy MoMA PS1. (Photo by Pablo Enriquez)
Fig. 5-6-7: “As If It Were Already Here” in Boston 2015, by Studio Echelman (Photo by Melissa Henry)

SCHEDA AUTORE
Katia Gasparini, architetto e Ph.D in tecnologia dell’architettura, è professore a contratto all’Università IUAV di Venezia, Accademia di Belle Arti di Verona, IED, IAAD.
Esperta di nuovi materiali e tecnologie per l’architettura e il design; l’attività di ricerca si sviluppa nell’ambito delle superfici adattive e cinetiche, smart materials per la valorizzazione dei beni culturali. Svolge attività professionale in ambito pubblico e privato, nella progettazione, riqualificazione e piani del colore.
Vincitrice di borse di ricerca e didattica, ha svolto attività di docenza e ricerca in ambito internazionale. Autrice di oltre 115 pubblicazioni a diffusione nazionale e internazionale.

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